Un thè con Alice nel paese delle moltezze
Tra paradossi e parti del sé
Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll offre un viaggio affascinante nel mondo fantastico, imbevuto di assurdità e meraviglia. Nel corso della sua avventura, Alice si trova ad interagire con personaggi misteriosi, tra cui il Cappellaio Matto, che la rimprovera con parole enigmatiche ed intriganti: “Prima eri molto più moltosa. Hai perso tanta della tua moltezza”. Questa affermazione, benché misteriosa, non è estranea ai pensieri ed agli scritti di vari autori.
Ferdinand de Saussure, linguista e semiologo svizzero di fine ‘800, per esempio, descrisse la sua esistenza con queste parole: “Non sono quasi mai serio, e sono sempre troppo serio. Troppo profondo, troppo superficiale. Troppo sensibile, troppo freddo. Sono come una collezione di paradossi”. In questo contesto non possiamo trascurare la celebre frase del poeta americano Walt Whitman in “Leaves of Grass”: “Mi contraddico? Benissimo, allora vuol dire che mi contraddico, sono vasto, contengo moltitudini”. Un intricato tessuto di molteplicità, contraddizioni e paradossi quindi, dentro ai quali si riflette la complessità della condizione umana.
Ma come è possibile tutto questo?
Dove risiede questa molteplicità? In fondo, quando ci riferiamo a noi stessi, utilizziamo una sola parola: “IO”, facendo quindi riferimento ad un’unicità che non riflette certo quella pluralità che, secondo il Cappellaio Matto, Alice ha perso. L’uso del termine “io” implica erroneamente l’esistenza di un nucleo centrale stabile e coerente nei pensieri, nelle relazioni e nei comportamenti. La realtà è notevolmente differente: ognuno di noi ospita una compagnia teatrale, una diversificata assemblea di attori, ciascuno portatore di una prospettiva unica sul mondo. Queste prospettive, di solito, divergono, portandoci a navigare tra opposti. Alice, dunque, non è l’unica a possedere una “moltezza”; questa caratteristica è infatti intrinseca dell’essere umano.
Forse qualche esempio concreto può essere utile per chiarire questo concetto.
Immaginiamo Diego, un uomo che si racconta sicuro e risoluto. Effettivamente nel contesto lavorativo è abituato a prendere decisioni importanti, senza esitazioni. Ora, osserviamo questa stessa persona in un contesto diverso, come una serata fuori. Cerca d’instaurare una conversazione con una donna, ma diventa improvvisamente timido ed incerto. Balbetta, non sa di che parlare; non esattamente un comportamento che evidenza sicurezza in sé. Eppure Diego si descrive come una persona decisa. Qualcosa non torna: quest’uomo non riconosce un aspetto della sua personalità, una parte di sé – o del sé – che affiora sotto la pressione di un contesto “romantico”. Teme infatti d’essere rifiutato, cosa che confermerebbe il suo timore d’essere poco interessante ed attraente per il sesso opposto. Tanto una sua parte si sente risoluta e sicura, quanto un’altra si percepisce vulnerabile, e quando questo attore, timido ed incerto, entra in scena, sperimenta imbarazzo e paura. Quindi in certi momenti la sicurezza non è il segno distintivo del suo carattere. Diego dovrebbe dire: “Ho una parte sicura ed una insicura”, ma se gli domandate di descriversi, egli risponderà: “Io sono sicuro di me stesso”.
Immaginiamo ora Gaia, una ragazza timida e sfiduciata, si sente un fallimento, una buona a nulla, spesso si dice che non riuscirà mai nei suoi propositi. Davvero lo crede, davvero vive dentro a questa realtà. Nonostante questo, osservata da fuori, Gaia è un’ottima studentessa, colleziona buoni voti e successi accademici uno dopo l’altro, con gli amici poi è spigliata ed estroversa, carismatica ed influente. Dovrebbe dire: “In me risiede una parte perdente e scarsa, credo che mi rappresenti, ma a tratti la sostituisce una parte affascinate e di compagnia”. Questo direbbe se avesse coscienza della pluralità che vive in lei, ma Gaia è ignara di tutto questo e dice solo: “Non ce la farò mai”.
Riflettete ora sulla vostra esperienza.
Vi è mai capitato di trovarvi in una sorta di tensione tra posizioni e bisogni opposti? Ferdinand de Saussure, senza dubbio, ha catturato magistralmente questo aspetto della sua esistenza: contemporaneamente troppo leggero ed eccessivamente serio, profondo ma superficiale, sensibile eppure freddo. E voi avete mai vissuto qualcosa del genere? Avete mai sperimentato il desiderio ardente di una relazione sentimentale, anelando però anche libertà ed assenza di vincoli? Avete mai provato la voglia di nuove esperienze, di terre lontane, aspre e selvagge, provando però disagio all’idea di allontanarvi da ciò che è noto e sicuro?
La nostra vita interiore è un intreccio complesso di voci che cercano di emergere.
Per non perdersi in balia di queste forze contrapposte, è cruciale esplorare a fondo la ricca assemblea di attori che risiede in noi. Le voci di alcuni di loro sono più evidenti, come quella che dipinge Dario risoluto e deciso, o quella che a Gaia fa dire “Non riuscirò mai”. Tuttavia, come in ogni buona compagnia teatrale, ci sono anche personaggi in ombra, voci meno chiare, ma altrettanto significative. C’è la parte timida ed insicura di Dario, forse in cerca di conforto e rassicurazioni, e la controparte vincente ed estroversa di Gaia che al “non riuscirò mai” vorrebbe rispondere con foga “ti faccio vedere io!”. Non è però finita qui. In Dario, così come in Gaia, abbiamo osservato due parti contrapposte. Tuttavia, questi sono soltanto due attori facenti parte di un ensemble teatrale ben più ampio e numeroso, numeroso al punto che Walt Whitman ha dichiarato saggiamente: “sono vasto, contengo moltitudini”. Ciascun personaggio, differente dagli altri, rappresenta una parte legittima e preziosa della stessa persona, ne esprime infatti esperienze, emozioni e bisogni specifici, diversi e distinti da quelli rappresentati da altre parti del sé.
È quindi fondamentale far dialogare queste voci con ordine, una alla volta. Dobbiamo concedere dignità ad ciascuna, consentendo loro di esprimersi, confrontarsi e persino litigare, se necessario. Solo attraverso questo dialogo interno, Dario e Gaia potranno comprendere appieno le sfumature della loro molteplicità, definendo con una chiarezza prima non possibile ciò che li muove, quali sono i desideri, i bisogni e le emozioni che si dispiegano in scena.
Spero che sia ora più chiaro come mai il Cappellaio Matto era così interessato alla “moltezza” di Alice: la moltitudine, i paradossi, le contraddizioni danno forma alla vita, la nostra vita.
Riferimenti bibliografici Giancarlo Dimaggio, 2022. Stranamore ha la meglio. Monogamia, poliamore, infedeltà e uno psicoterapeuta. Baldini + Castoldi